L’eccellenza nella performance di un atleta deriva dall’ottimale combinazione fra allenamento adeguato, corretta periodizzazione e dieta bilanciata.Tutti questi fattori comportano il raggiungimento della massima efficienza a livello fisiologico, eppure nell’ambito di una gara tutto questo può non bastare, la performance può non raggiungere i picchi sperati e non necessariamente per motivi fisici.
Molto spesso, nell’ambito sportivo ci si concentra sull’aumento delle capacità funzionali o tecniche del proprio atleta, dimenticandosi che il contesto della gara è di fatto differente rispetto a quello dell’allenamento ed esige anch’esso una adeguata preparazione. Il momento della gara è un confronto sociale, un momento istituzionalizzato, dove si ha un confronto diretto con un pubblico, non c’è quindi da meravigliarsi se un atleta è soggetto a stati d’ansia.
Ecco che dunque entra in gioco la psicologia dello sport che si occupa di studiare ed ottimizzare quei meccanismi atti a garantire una adeguata efficienza fra gesto motorio e mente durante la competizione.
L’ansia è il principale stato d’animo che caratterizza l’atleta sotto gara; si tratta di un’esperienza soggettiva che comporta paura ed insicurezza. Spesso trascurato, comporta un’ iperattività del sistema nervoso ed un aumento dell’attività del sistema endocrino. Questo atteggiamento modifica dunque lo stato dell’atleta: una maggiore attivazione muscolare o una produzione maggiore di ormoni possono non sempre essere effetti positivi in caso di motricità fine o nell’ottica del risparmio energetico.
Lo stato ideale dell’atleta potrebbe essere così riassunto:
– assenza di paura, nessun timore di fallire: spesso il desiderio di controllare il proprio ego, di affermarlo portano ad avere più paura di perdere che voglia di vincere;
– campo di attenzione limitato esclusivamente alla specifica attività, come detto la gara è una circostanza di confronto, dove il contatto con il pubblico può distogliere l’atleta;
– massima riduzione della sensazione di sforzo (molto spesso la percezione della fatica non coincide con il nostro reale stato fisiologico);
– sensazione di controllo su sè stessi e sulle dinamiche esterne (soprattutto in ambiti considerati prestigiosi, la possibilità di sentirsi “in balia degli eventi” non è da sottovalutarsi).
Questi atteggiamenti sono quelli che la psicologia dello sport cerca di promuovere: l’atleta deve essere sgombro da pensieri negativi, l’idea, ma soprattutto la paura del fallimento devono essere lontane, in modo tale da non creare condizionamenti.
Un aspetto importante per il raggiungimento di un tale livello di controllo è comunque strettamente legato alla componente fisiologica, infatti la corretta combinazione fra lavoro fisico e mentale porta l’atleta al raggiungimento della consapevolezza di sé. Un atleta consapevole si conosce, sa cosa pretendere e come gestirsi per spingere al massimo.
Anche la motivazione è un’altro aspetto da tenere in stretta considerazione, che possiamo distinguere in 2 tipi:
– MOTIVAZIONE INTRINSECA: è quella capacità di regolarsi da solo,che porta l’atleta a motivarsi, a regolarsi, a saper approcciare alle indicazioni tecniche in modo autonomo e produttivo, con consapevolezza, senza il bisogno di essere costantemente motivato o spronato.
– MOTIVAZIONE AL SUCCESSO: è il desiderio di prendere parte ad una gara. è quel fattore che a parità di condizioni determina il successo, poiché comporta l’approccio migliore alla competizione.
“Il successo arriva quando l’opportunità incontra la preparazione” (cit)